La nostra fattoria didattica per bambini

Insieme recinti per animali da utilità

 

Recinti per avicoli

 

Recinti per palmipedi e per bovini

 

Scorcio recinto per avicoli

 

 

Vitello marchigiano

 

 

Gruppo di oche

 

Gruppo di anatre Germano Reale

 

Coppia di anatre Caroline

(attività condotta principalmente da Lei)

Da sempre considero con molto interesse, e molto più che una punta di invidia, coloro che sono riusciti ad applicare con convinzione i rigorosi principi della cultura vegetariana.

Amo gli animali e li considero, indistintamente, specie almeno pari a quella umana; ove, evidentemente, non di gran lunga superiore come nel caso dei cani, ai quali sono particolarmente legata e con cui, da sempre, condivido il cammino; questa, però, è un’altra storia ….

Non sono, tuttavia, purtroppo, matura per cambiare le mie abitudini alimentari e, forse, rimarrò a vita irrimediabilmente segnata dagli usi dilaganti connessi alla posizione preponderante che la specie umana ha preteso nel pianeta.

Per quanto detto, dunque, come la maggior parte di essa, mi nutro anche di carne e ne apprezzo preparazioni e sapori.

Questo, però, non vuol dire affatto che giudico gli animali esseri inferiori da bistrattare e maltrattare, anzi: sono fermamente convinta del fatto che l’animale, anche se cresciuto a scopo alimentare, debba essere curato per la sua peculiarità di essere vivente, cui vanno garantiti benessere e dignità.

Tale convinzione mi ha spinta ad approfondire le mie letture al riguardo delle specie destinate alla mensa, studi teorici che ho supportato con l’osservazione diretta degli esemplari, ovvero dei gruppi di essi, che mi sono via, via procurata, traendo, proprio da quest’ultima attività, la maggior parte delle conoscenze e dei convincimenti che ho maturato strada facendo.

Per questo motivo, nell’approcciarmi all’allevamento dei pochi capi atti al consumo familiare, ho ritenuto irrinunciabile lo studio delle abitudini della specie prescelta, in larga parte applicando gli insegnamenti del grande Konrad Lorenz, a mio avviso, ad oggi, ineguagliato etologo.

Così ho osservato per ore il comportamento delle galline nel pollaio, i ruoli di dominanza, le beghe, le baruffe; ho letto tutto quanto mi capitava sottomano sulle abitudini dei maiali e della specie bovina, cercando di privilegiare testi che trattassero di bestie cresciute con metodi naturali (in realtà libri ancora oggi assai rari, almeno nelle stesure adatte alla lettura amatoriale).

E’ così che ho appurato che, tralasciando la salute fisica dell’animale, in verità curata anche negli allevamenti industriali, non fosse altro che per meglio perseguire gli scopi economici (magari abusando di integratori e medicinali a scopo semplicemente cautelativo), l’animale, per stare bene, ha bisogno di essere, oltre che nutrito e dissetato, libero di esprimere il normale comportamento di specie, nonché libero dalla paura e dallo stress.

Le mie letture, unite alla mia formazione universitaria (sono architetto), mi hanno condotta a creare un ambiente che ho giudicato consono alle abitudini di vita degli animali osservati avendo potuto appurare che, in un ambiente idoneo, nascono meno problemi comportamentali e, addirittura, gli animali vivono più sani e più a lungo, anche senza la necessità di abuso di medicinali.

Nel mezzo dei miei studi e realizzazioni mi sono poi imbattuta nella teoria, attualmente in uso negli Stati Uniti d’America, che consiglia, anche su scala industriale, sistemi di allevamento basati su rigidi principi atti a garantire il benessere psico – fisico degli animali, ancorché allevati a scopo alimentare; i metodi adottati, divulgati in Italia dalla scienziata americana Temple Grandin, risultano oggi pienamente applicati nella cura dei miei animali.

Per questo motivo, gli spazi di allevamento da me creati all’interno dell’azienda, sono stati concepiti con il preciso scopo di evitare stimoli di rabbia e paura, garantendo un ambiente sufficientemente spazioso per tenere l’animale occupato e prevenire l’insorgenza di comportamenti anomali e non consoni alla specie.

Oggi allevo i miei esemplari unicamente all’aperto, in spazi recintati opportunamente calibrati al numero dei capi ospitati; ogni recinto è provvisto, oltre che di angoli ombreggiati per l’alimentazione e l’abbeveraggio (quest’ultimo in automatico con abbeveratoi allacciati alla rete idrica aziendale), anche di ricovero mobile, progettato e realizzato per soddisfare le abitudini di specie.

Nella scelta dei capi da introdurre in azienda ho privilegiato, come per frutta e verdura, le razze autoctone italiane, con primario riguardo, ove possibile, alla provenienza regionale.

E’ per questo che possiedo alcuni maiali neri casertani e che, nella scelta del vitello, ho privilegiato la razza marchigiana o mix comunque ad essa vicini; ho fiducia di provare ad allevare, prossimamente, anche vitelli di razza chianina o mix ad essa vicino.

Per quanto riguarda i maiali neri, va detto che, contrariamente alle razze nordiche importate (come ad esempio i maiali chiari tipo LARGE WHITE o LANDRACE, razze di origine britannica, migliorate con selezione genetica), trattasi di animali che non raggiungono grandi pesi (i miei maiali non hanno mai, neanche lontanamente, sfiorato i 150 kg, ancorché giunti a maturazione), ma che presentano caratteristiche organolettiche della carne assai gradevoli al gusto.

Le razze dei vitelli sopra menzionate non necessitano di ulteriori descrizioni perché, soprattutto la chianina, è già vastamente nota al riguardo della sua eccellenza; la marchigiana, assai più diffusa in Campania, non ha nulla da invidiare alla prima.

Per quanto mi riguarda, basandomi solo su ciò che ho direttamente sperimentato, ritengo di potere affermare che le carni dei maiali e dei vitelli, allevati in azienda con metodi naturali, siano in verità anche assai più gustose e salutari di quelle di usuale consumo.

Questo perché le bestie vivono molto meglio all’aperto che in stalla e perché sicuramente si giovano del movimento connesso al loro stato semi brado; il recinto che ospita il solo vitello, ad esempio, misura circa mille metri quadri di spazio alberato, cui si aggiunge quello del ricovero coperto.

Il benessere degli animali così allevati è, del resto, facilmente comprensibile: basta tenere conto del fatto che l’affermazione autoctona delle razze anzi menzionate deve sicuramente basare sulla felice condizione climatica del nostro paese ove, prima che la “febbre dell’oro” connessa al progresso snaturasse usi e costumi, si preferiva allevare bestiame in semplicità e con l’ausilio di quanto disponibile in natura, invece di spingere per l’ottenimento di razze, sempre più artificiali, che raggiungessero velocemente grandi pesi a scapito della qualità.

Allevo all’aperto anche avicoli e palmipedi, applicando criteri simili a quelli adottati per i quadrupedi; anche qui la metodologia adottata mi ha dato grandi soddisfazioni perché vedo animali contenti e, soprattutto, perché, osservandoli, ho imparato davvero tante cose interessanti da illustrare.

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